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#4chiacchiere con Nicola Bedogni sul 5×1000 del 2018

In queste settimane il 5×1000 è diventato un tema caldo per i fundraiser, non solo perché è il periodo delle dichiarazioni dei redditi ma soprattutto per la pubblicazione del dati 2018, per l’annuncio dell’uscita a breve di quelli 2019, per la liquidazione di entrambi entro l’anno e per la prossima emanazione del decreto attuativo previsto dalla Riforma del Terzo Settore (che latitava da diversi anni). Dopo l’articolo di approfondimento sulle principali evidenze emerse dai dati 2018 (se non l’hai ancora letto, lo trovi qui), ho pensato di fare #4chiacchiere con Nicola Bedogni, Presidente di ASSIF Associazione Italiana Fundraiser, partendo dal bellissimo lavoro di analisi che ha pubblicato come quaderno sul sito dell’Associazione.

Ciao Nicola, prima di tutto grazie per la tua disponibilità a dedicare un po’ di tempo (che nonostante fase 1, fase 2, quarantena, smart working ecc. rimane sempre una risorsa molto scarsa) per una chiacchierata sul 5×1000 alla luce dei dati 2018 e dell’analisi fatta all’interno del primo quaderno di ASSIF dedicato al 5×1000 – dati 2018. Volevo farti i complimenti perché fino a oggi non avevo mai visto un lavoro così dettagliato e completo. Ora non ci sono più scusa per dire che non si conosce bene il 5×1000. Ma come è nata la passione, o la possiamo definire ossessione, per i dati del 5×1000 e l’idea di questo quaderno?

Grazie a te per il tuo di tempo. È un piacere potersi scambiare opinioni anche perché dove non c’è condivisione non può crescere il livello di professionalità dei fundraiser.

Perché questa riflessione, fortunatamente condivisa da molti, non rimanga solo teorica abbiamo pensato in ASSIF che la cosa migliore sia quella di fare un primo passo mettendo a disposizione gratuitamente l’analisi dei dati 5×1000 che ogni anno “ossessivamente” ognuno di noi cerca di produrre.

La collana “I Quaderni di ASSIF” nasce con questo spirito. Offrire a tutti i fundraiser la possibilità di condividere proprie ricerche che, per quanto piccole o di dettaglio, siano materiale prezioso da mettere a disposizione di tutti con dati e modalità di analisi che altrimenti rimarrebbero nei cassetti.

Il 5×1000 è un caso emblematico da questo punto di vista. Uno strumento che distribuisce 400/500 milioni di euro l’anno, parliamo del 10% della raccolta annuale complessiva del Terzo Settore. Uno strumento che essendo, purtroppo, anonimizzato limita al minimo l’impegno di relazione e follow-up e quindi di gestione del tempo investito. Uno strumento che non incide sul budget disponibile dei donatori, perché quota già dovuta, e quindi sovrapponibile alle donazioni regolari. Uno strumento il cui importo medio ad caput, 30,63€, è di tutto rispetto e gode dell’aggiunta del redistribuito che in alcuni casi è enorme, basti pensare ai 1.600 euro di redistribuzione per ogni firma espressa del settore delle Aree Protette.

Con tutti questi pregi il 5×1000 è forse lo strumento di raccolta meno analizzato tra tutti. Da un lato perché manca la relazione diretta con il donatore, dall’altro perché i dati sono tantissimi e difficilmente elaborabili. Se solo l’Agenzia decidesse di rilasciarli in formato excel sarebbe già una ottima cosa.

Il quaderno è disponibile solo per i soci ASSIF?

Il “Quaderno numero 1” che conterrà tutti i dati del 5×1000 dal 2006 ad oggi, 270 pagine di dati analizzati, sarà disponibile a breve solo per i soci ASSIF. L’analisi dei dati 5×1000 2018, che abbiamo realizzato in tempo record, è stata invece rilasciata il 10 aprile come regalo di Pasqua ed è disponibile per tutti semplicemente compilando un form a questo link: http://www.assif.it/un-regalo-per-te.

Veniamo ora ai dati riportati nell’analisi. Uno dei mantra che si è sempre ripetuto con più vigore è che l’attenzione doveva concentrarsi nell’allargare la torta dei contribuenti che scelgono questo strumento e non competere per una fetta più grande a scapito di qualche altro ente. È ancora così oppure abbiamo raggiunto la “torta massima”?

I margini di crescita della torta naturalmente ci sono ancora, ma cerchiamo di supporre in che misura. Prendiamo a spanne gli ultimi dati disponibili (Redditi 2018), tenendo conto che se per le generiche il valore del redistribuito è identico per ogni dichiarazione, per le espresse dipende dal reddito. Lo dico per far capire che anche nel 5×1000 ci sono potenziali major e middle donor e che anche per il 5×1000 vale il principio di Pareto [ndr principio che afferma che nei fenomeni sociali e economici il 20% delle cause provocano l’80% degli effetti]. Diciamolo con i dati. Nel 2018 il 45% dei contribuenti ha generato il 4% dell’IRPEF, viceversa un 5,3% dei contribuenti ha generato il 40% dell’IRPEF.

Detto questo quali possono essere i margini di crescita? I dati ci dicono che i contribuenti sono 43 milioni e rotti di cui quasi 13 milioni hanno un Irpef paria a zero (a causa delle detrazioni e della no tax area). Rimangono quindi solo 30 milioni di contribuenti IRPEF (75% del totale) che hanno margine per destinare. Di questi come sappiamo 16,6 milioni, in forma espressa o generica hanno destinato il proprio 5×1000 nel 2019. Il margine a questo punto sembra ancora molto amplio. Ci sono là fuori 13,4 milioni di potenziali destinanti che non lo hanno ancora usato. Per dirla non ad caput ma ad pecuniam ci sono ancora più di 400 milioni da intercettare.

Se ci fermassimo qui sembrerebbe che le potenzialità dello strumento siano ancora tutte da esprimere, ma ora dobbiamo purtroppo introdurre qualche correttivo a quanto detto sopra.

1° – TETTO: ricordiamoci che c’è un tetto (500 milioni) e che quei 400 milioni e rotti da intercettare sono ampiamente oltre il tetto, visto che solamente con gli importi dei 16,6 milioni di destinanti il tetto è già stato superato per i redditi 2018 di 13 milioni.

2° – 8×1000: l’utilizzo del 5×1000 è da anni assestato sul 41% dei contribuenti, quota che può sembrare ancora bassa, ma non facciamoci trarre in inganno. Anche se non è un paragone omogeneo il 41% è ampliamente superiore al dato percentuale dei donatori in Italia, che si assesta sulla metà (20%). Un paragone sicuramente più attendibile può essere il confronto con i dati dell’ultimo 8×1000 (redditi 2016) che con i suoi 35 anni di vita porta a casa il 42,43% dei contribuenti.

3° – DESTINAZIONI: ci sono ancora più di 3.000 enti iscritti al 5×1000 che non ricevono neanche una destinazione, 0, nemmeno dal proprio Presidente, senza rendersi conto che l’iscrizione al 5×1000 senza un minimo di promozione adeguata è come aprire una pagina Facebook senza pubblicare nessun post. E dico minima perché il 71% degli enti ammessi riceve tra 1 e 99 destinazioni, un numero sufficientemente contenuto per poter intervenire con un banale passaparola senza dover pensare a chissà quale piano di comunicazione. Stesso discorso per un ulteriore 20% degli enti che riceve tra 100 e 499 destinazioni.

Detto questo, per non dilungarci troppo, i margini di crescita potrebbero ancora esserci, a patto che si intervenga sullo strumento quanto meno elevando, o togliendo, il tetto. È inutile parlare di margini di crescita della torta, quando ne abbiamo già raggiunto (e oltrepassato inutilmente) i confini dati dal tetto dei 500 milioni.

Per non dare una risposta senza indicazioni precise proviamo a capire quale suggerimento può essere dato ai fundraiser basandoci ancora una volta sui dati, in questo caso quelli forniti da Doxa[1].

INTERMEDIARI: dove vengono fatte le dichiarazioni? Il 50% le fa ai CAAF, il 22% dal commercialista, il 19% lascia al datore di lavoro e un misero 2% si affida ai servizi telematici. In queste sedi solo il 50% dei soggetti che si rivolgono a commercialista e CAAF destinano il 5×1000, mentre calano al 4% le destinazioni delle dichiarazioni gestite dal datore di lavoro.

DRIVER DI SCELTA: come viene influenzata la scelta di destinare il 5×1000? Il 43% si basa sull’inerzia o sulla fedeltà indicando lo stesso ente dell’anno passato, il 16% dei non-donatori e il 6% dei donatori segue le indicazioni di amici o parenti, l’1% è influenzato dalla pubblicità.

NOTORIETÀ: nonostante 8 persone su 10 dichiarino di conoscere lo strumento, in realtà come sappiamo solo il 41% dei contribuenti destina il 5×1000 e un dato, ancora più preoccupante rilevato sempre da Doxa, è che tra i donatori ben il 35% decide di non indicare un ente non profit.

Su questi ultimi tre punti può essere impostata una strategia di promozione efficace che si basa evidentemente sui rapporti di fiducia che vengono gestiti one-to-one, partendo dai propri donatori, dalle relazioni con CAAF e commercialisti, fino a trasformare in promotori i donatori stessi all’interno delle loro cerchie di influenza.

Continuiamo con la metafora della torta: lo stampo – tetto – che il pasticcere – Stato – ha introdotto periodicamente per impedire che cresca troppo, come incide sull’erogato? Pensi possa avere anche un impatto negativo sulla percezione del contribuente?

Il valore destinato dai contribuenti alle ONP dal 2006 ad oggi, che non è stato erogato perché eccedeva il tetto imposto, ammonta a 425 milioni di euro. È come se avessimo perso un anno di 5×1000. Oppure, detto in altri termini, è come se in tutti questi anni avessimo ricevuto solo il 4,6×1000.

Rispetto alla percezione sono convinto che il contribuente più attento non apprezzi il tetto. Il 5×1000 è uno strumento di cittadinanza attiva, una “non-imposta” che prevede un ruolo attivo del contribuente nel momento in cui si lascia alla sua discrezione la scelta allocativa di un contributo dovuto allo Stato. In termini economici lo viviamo come uno strumento di raccolta in più, ma in termini sociologici è portatore di una cultura filantropica e partecipativa tra i contribuenti.

Mettere un tetto a questo meccanismo sembra quasi una contraddizione in termini, anche considerando che il suo cugino, l’8×1000, un tetto non ce l’ha.

A parte i 13 milioni sforati nel 2018, il tetto negli anni ha inciso tantissimo. Come abbiamo appena visto, parliamo di un totale di 425 milioni messi ampiamente in evidenza anno per anno nel Report. Al tetto vanno aggiunti anche tutti gli importi non distribuiti in questi anni perché destinati a enti poi esclusi…

Certamente! Ai 425 milioni di cui parlavamo prima, vanno affiancati altri 87 milioni destinati dai contribuenti a organizzazioni successivamente escluse dal riparto e se vogliamo considerare tutto andrebbero conteggiati anche gli importi “Residui”, ovvero il non-erogato per mancata comunicazione del conto corrente, o per cessata attività dell’Ente. Nel 2012 ricordo che solo per il Volontariato erano più di 1.000 Enti per un ammontare che superava il milione di euro.

Sempre in tema di enti esclusi, un dato che mi ha colpito è l’aumento dell’8,49% rispetto il 2017 delle destinazioni a favore di enti che poi non sono stati ammessi alla distribuzione. Come si può spiegare?

Questo dato è fortemente influenzato dai soggetti che in quell’anno vengono esclusi, magari per vizi che poi saranno sanati e porteranno a una successiva riammissione. Nel caso specifico, visto che me l’hai chiesto, ho controllato direttamente e l’incongruenza è data dalla Fondazione FAI CISL STUDI E RICERCHE che è stata esclusa con più di 10.000 preferenze a suo favore.

Come ogni buon fundraiser sono ossessionato dalle piramidi. Dati alla mano, sono andato a vedere se anche la distribuzione delle firme espresse e degli importi rispetta la legge di Pareto. E in effetti tutto torna: il 20% degli ammessi porta a casa l’88,15% del totale delle destinazioni. Solo che la piramide sempre molto appuntita perché se consideriamo le prime 30 organizzazioni (lo 0,046% del totale) raccoglie il 37,69% delle firme. Questi dati non fanno altro che mostrare un aspetto molto conosciuto del 5×1000: le medie-grandi organizzazioni riescono a polarizzare il grosso delle destinazioni e degli importi mentre la stragrande maggioranza si ferma tra i 100 e i 5.000 euro, da meno di 500 firme (di cui la maggioranza non arriva neanche a 100 come accennavi anche tu prima). Secondo te dipende dalle caratteristiche dello strumento stesso o da qualche errore degli enti?

Doxa ci insegna che è ancora uno strumento che non è entrato a pieno nella comprensione dei contribuenti, ancora peggio dei donatori e peggio in assoluto delle organizzazioni. Probabilmente è per questo che le grandi organizzazioni, che sono strutturate con tutte le professionalità necessarie per fare fundraising, ne escono vincenti.

Proprio il tema di queste distorsioni nella distribuzione tra gli enti (meccanismo di redistribuzione e ipotetico tetto per gli enti che non raggiungono una certa soglia) è oggetto di dibattito anche a livello normativo. La Riforma del Terzo Settore ha coinvolto anche il 5×1000 e previsto un decreto che dovrebbe proprio intervenire su questi due aspetti. In questi giorni sembra qualcosa si stia muovendo in questa direzione. La proposta è di introdurre un limite minimo di 100 euro per accedere alla distribuzione. Questo automaticamente escluderebbe più di 7.000 enti, oltre a togliere la libertà al contribuente di poter scegliere l’ente che più ritiene meritevole. Cosa ne pensi?

Se il limite di esclusione fosse sotto i 100 euro, rispetto agli ultimi dati, parliamo di escludere dagli ammessi 7.262 enti per 230 mila euro di importo complessivo che verrebbe redistribuito. Sarebbero penalizzate o facilitate maggiormente, a seconda di come si voglia interpretarla, le Aree Protette (-37% degli enti), i Comuni (-17% degli enti), Cultura (-14%), Sport (-13%), Volontariato (-9%), Ricerca Scientifica (-2%), Ricerca Sanitaria (0%).

Io credo che una scelta del genere, per quanto come sottolineavi nella domanda possa tradire lo spirito di democrazia partecipata di cui parlavamo, d’altro canto possa invece incentivare le Organizzazioni ad utilizzare meglio lo strumento. Non dimentichiamo che la metà di questi potenziali esclusi non ha nemmeno una destinazione.

Prima di salutarci e di ringraziarti, domanda di rito: tre evidenze che emergono dalla tua analisi e che ritieni possano essere utili da sapere per pianificare la propria campagna del 5×1000?

  1. Le magnifiche sorti e progressive che presentano una crescita miracolosa e continuativa del 5×1000 basandosi sul numero enorme di chi ancora non destina, devono essere ritarate rispetto al tetto e rispetto alle potenzialità già espresse da strumenti analoghi come l’8×1000.
  2. Ogni comparto deve implementare la propria particolare strategia. Ci sono comparti che hanno margini di crescita potenzialmente enormi, vedi cultura e aree protette, e che, dato il numero limitato di enti, potrebbero beneficiare di una campagna comune che faccia crescere le destinazioni generiche beneficiando ognuno del redistribuito.
  3. La maggior parte delle organizzazioni, quel 92% tra 1-499 destinazioni, potrebbero incrementare le loro campagne implementando un coinvolgendo maggiore degli intermediari che abbiamo citato prima, a partire dai propri donatori. Senza tralasciare le aziende che gestiscono il 19% delle dichiarazioni e potrebbero ricordare ai propri dipendenti questa possibilità evitando che rimangano inespresse il 96%.

Grazie mille per la chiacchierata e per il tempo prezioso dedicato. Viste le ultime dichiarazioni di Conte e le indicazioni contenute nel nuovo decreto, immagino non avrai molto tempo per recuperare le energie dopo questo enorme lavoro di analisi… i dati 2019 sono alle porte!

Davide Moro è un consulente di fundraising e formatore specializzato in raccolta fondi online, comunicazione sociale e psicologia del donatore. Dopo aver concluso nel 2016 il dottorato di ricerca all’Università IULM con un progetto di ricerca sulla philnathropic psychology, si è appassionato al tema della divulgazione del fundraising dal punto di vista della ricerca accademica.