philanthropic psychology

Importi di donazione: lasciamo scegliere al sostenitore… ma non troppo

Siete di fronte a un donatore oppure state scrivendo la lettera con l’appello speciale per Pasqua e vi assale il classico dubbio: lascio la donazione “libera” oppure gli indico un importo di riferimento?

A chi non è mai capitato di trovarsi in questa situazione? Come tutti i fundraiser sanno, o dovrebbero sapere, l’”offerta libera” non è mai la strada più efficace per almeno tre motivi:

  1. quando chiediamo una donazione a qualcuno non lo stiamo “raggirando per estorcergli del denaro” bensì gli stiamo offrendo la possibilità di contribuire a scrivere il lieto fine alla storia di una persona (o più in generale un qualsiasi beneficiario) che si trova in una situazione di difficoltà. E sarà solo lui a scegliere liberamente se donare o meno. Non dobbiamo utilizzare la formula dell’”offerta libera” per sentirci un po’ meno in colpa perché così risultiamo meno invasivi nella richiesta;
  2. se non propongo un importo, le persone molto probabilmente doneranno meno rispetto a quanto avrebbero potuto dare e cercheranno altrove dei punti di riferimento per capire se l’ammontare deciso sia coerente alle aspettative del fundraiser;
  3. se vogliamo raggiungere il risultato descritto nell’appello dobbiamo mettere in campo determinate azioni, beni e competenze che hanno un controvalore economico specifico, perché non comunicarlo al donatore?

Se la soluzione da adottare è quella di indicare sempre almeno un importo di riferimento, le domande che a questo punto dovrebbero sorgere spontanee sono: quante alternative devo presentare? Che importi devo mettere? Saranno troppo alti o troppo bassi?

Dilemma of minimal requests

Nella valutazione di quali importi indicare dobbiamo fare i conti con quella che Cialdini e Schroeder1hanno descritto come il dilemma of minimal requests.

Se la nostra richiesta è relativamente contenuta i soggetti faranno molta più fatica a rifiutarla, non perché rappresenti un costo facilmente accessibile, ma soprattutto perché il rischio di essere percepito come egoista è molto alto. Allo stesso tempo piccoli importi ci costringono a mettere in campo enormi risorse per raggiungere l’obiettivo finale. Avete presente i biglietti delle lotterie a 1-5 euro oppure l’sms solidale a 2 euro?

L’altra faccia del dilemma però ci dice che se gli importi sono troppo alti, e quindi ci permetterebbero di tagliare il traguardo della nostra raccolta molto più velocemente, la propensione del potenziale donatore a rifiutare è molto alta.

Come fare? Semplice, dobbiamo essere dei provetti funamboli: non chiedere troppo ma neanche troppo poco.

La scelta cade sempre nel mezzo

Per superare, o comunque arginare, il problema del dilemma delle richieste minime si potrebbe decidere di offrire più di un’opzione. In questo modo possiamo soddisfare il bisogno di chi vuole solo non apparire egoista e quindi si aspetta di donare il minimo possibile, ma allo stesso tempo attivare anche chi ha maggiore disponibilità.

Quanto alternative allora proporre? Il mondo profit conosce molto bene la risposta. Vi siete mai domandati perché nelle carte dei vini dei ristoranti ci siano spesso bottiglie da migliaia di euro che probabilmente neanche il ristoratore ha in cantina? Semplicemente perché le persone tendono a scegliere il prodotto che rappresenta l’opzione centrale. Non quello con la qualità più bassa che costa poco ma neanche quello troppo caro benché quasi sicuramente molto più buono.

Il fenomeno è noto come avversione agli estremi ed è stato studiato da Simonson e Tversky2.

Basta quindi mettere mettere al centro il valore che per noi rappresenta quello ideale o che ci aspettiamo mediamente di ricevere? Purtroppo per noi fundraiser la soluzione non è mai quella più facile. Il fenomeno dell’avversione agli estremi, seppure valido anche quando si parla di donazioni, sembra abbia minore impatto sulla propensione al dono e sull’importo medio rispetto a un altro elemento che compone l’appello.

Il primo valore è quello che conta

Schibrowsky e Peltrier3 hanno osservato come la dinamica dell’avversione agli estremi quando si parla di donazioni si trasforma in una logica di ancoraggio al valore più basso inserito all’interno dell’intervallo di importi suggeriti.

Quindi un donatore che vuole donare 25 euro al progetto XY e si trova di fronte alla rosa di scelte “10 – 30 – 60 euro” sarà portato a pensare che il suo contributo possa avere un impatto sul problema descritto dall’appello più di due volte superiore a quello minimo (10 euro).  Ma se gli importi fossero “20 – 40 – 60 euro” allora i suoi 25 euro avrebbero un “valore” nettamente inferiore (benché nominalmente abbiano eguale valore rispetto il primo esempio) perché di poco superiore al minimo necessario per garantire un primo risultato.

In letteratura si trovano diversi studi che hanno analizzato l’effetto del primo valore sulla propensione di dono e sull’importo medio. I risultati hanno dimostrato che la sua portata può essere influenzata anche da altre variabili concomitanti come:

  • la differenza del primo valore rispetto la donazione media del singolo soggetto: se è molto più alto viene percepito come “fuori budget” mentre se è troppo basso il rischio è che il donatore metta in discussione la percezione del bisogno espresso dall’appello e il suo comportamento abituale di donazione;
  • le abitudini di donazione: i sostenitori occasionali (con una sola donazione in passato) sembrano essere molto più sensibili alla costruzione della scala rispetto ai donatori frequenti (con due o più donazioni).

Come si può facilmente intuire trovare una regola standard in grado di massimizzare l’efficacia nella costruzione della rosa di importi consigliati in un appello di raccolta fondi è molto difficile. Ci sono molteplici variabili in gioco (oltre a quelle analizzate brevemente qui come l’ampiezza tra i valori della scala, la terminazione in 9 dei valori, l’utilizzo di numeri poco frequenti ecc.) e spesso con effetti contrapposti.

Come fare allora? Partendo da queste semplici dinamiche, la soluzione più efficace è sperimentare continuamente.

Fonti
1 Cialdini, R. B., & Schroeder, D. A. (1976). Increasing compliance by legitimizing paltry contribu- tions: When even a penny helps. Journal of Personality and Social Psychology, 34(4), 599–604. doi:10.1037/0022-3514.34.4.599
2 Simonson, I., & Tversky, A. (1992). Choice in Context: Tradeoff Contrast and Extremeness Aversion. Journal of Marketing Research, 29(3), 281–295. doi:10.2307/3172740

Davide Moro è un consulente di fundraising e formatore specializzato in raccolta fondi online, comunicazione sociale e psicologia del donatore. Dopo aver concluso nel 2016 il dottorato di ricerca all’Università IULM con un progetto di ricerca sulla philnathropic psychology, si è appassionato al tema della divulgazione del fundraising dal punto di vista della ricerca accademica.